
La malattia di Anderson Fabry: introduzione
La malattia di Anderson-Fabry è una malattia genetica, legata al cromosoma X, che a seguito della carenza dell’enzima a-Galattosidasi A causa l’accumulo di un materiale sfingolipidico in varie cellule dell’organismo. Tale accumulo determina nel tempo un danno dapprima reversibile poi irreversibile causando l’insufficienza funzionale di vari organi e quindi una prognosi severa nell’età adulta.
Essendo quindi una malattia sistemica in cui praticamente quasi tutti gli organi e tessuti dell’organismo possono essere coinvolti abbiamo pensato di suddividere la descrizione della malattia che troverete qui di seguito in varie sezioni curate dai membri del Comitato Scientifico dell’Associazione Pazienti Anderson-Fabry-onlus ciascuna delle quali tratta quelli che si possono ritenere i principali coinvolgimenti della malattia. Ciascun argomento è stato descritto da colleghi di alta esperienza e competenza riconosciuta a livello nazionale ed internazionale con l’obiettivo di illustrare in modo semplice ma altrettanto approfondito non solo le conoscenze oramai assodate sulla malattia ma anche i dati più recenti della letteratura scientifica.
Alcuni aspetti per il momento non sono stati affrontati ma soltanto per brevità e non certo per minore rilevanza clinica. Per tale motivo ulteriori argomenti potranno essere oggetto di discussione nella pagina relativa a domanda/risposta che a breve si aprirà nel sito. Del resto la conoscenza della malattia è sempre più crescente e le nuove acquisizioni, come ad esempio le nuove terapie che si stanno affacciando all’orizzonte, saranno sicuramente oggetto di futuri aggiornamenti di questa sezione del sito internet.
Con questo testo abbiamo cercato di dare a tutti i visitatori del sito, pazienti, familiari, addetti ai lavori e non, una inquadratura della malattia con lo spirito di dare una informazione il più completa, corretta e accurata possibile. Perché lo scopo del nostro lavoro è e deve essere sempre la centralità del paziente alla ricerca di ciò che è meglio per assicurare la miglior assistenza e la miglior gestione della persona affetta dalla malattia di Fabry.
A cura del dott. Renzo Mignani
Approfondimenti
La malattia di Anderson-Fabry o più semplicemente Malattia di Fabry (OMIM #301500) prende il nome dal dottore inglese William Anderson e dal dottore tedesco Johann Fabry, che per primi e in modo indipendente descrissero la malattia nel 1898.
La malattia di Anderson-Fabry è una malattia genetica rara che fa parte di un gruppo di patologie chiamate malattie da accumulo lisosomiale. Le malattie da accumulo lisosomiale sono così chiamate in quanto interessano i lisosomi che sono organuli rivestiti da membrana, presenti in tutte le cellule del corpo. I lisosomi contengono enzimi e proteine capaci di degradare varie macromolecole biologiche tra queste gli sfingolipidi.
La malattia di Anderson-Fabry è causata dalla carenza totale o parziale dell’enzima lisosomiale alfa-galattosidasi A necessario per la degradazione di alcuni lipidi di cui il più rappresentato è lo sfingolipide chiamato globotriaosilceramide, abbreviato come GL-3 o Gb3. Quando l’enzima alfa-galattosidasi A non funziona correttamente la capacità della cellula di smaltire il Gb3 risulta rallentata o bloccata del tutto e il Gb3 non degradato rimane all’interno dei lisosomi. Ne consegue un accumulo progressivo di questo lipide nei lisosomi della maggior parte delle cellule del corpo con conseguente danno cellulare.
Il gene GLA
Il gene GLA (OMIM #300644), che è localizzato sul cromosoma X, codifica l’enzima alfa-galattosidasi A. Quando la sequenza del gene GLA viene alterata da mutazioni che cambiano la sequenza normale del DNA si ha produzione di varianti dell’enzima alfa-galattosidasi A che possono funzionare meno o non funzionare affatto. Tali mutazioni sono responsabili della malattia di Fabry e, ad oggi, sono state descritte oltre 800 diverse mutazioni del gene GLA in pazienti con malattia di Andreson-Fabry (Human Gene Mutation Database web site). L’identificazione di un così ampio numero di mutazioni dimostrano che la malattia ha un’elevata eterogeneità allelica.
Mutazioni differenti possono colpire in modo diverso l’attività dell’enzima alfa-galattosidasi A, dando luogo a differenze nelle manifestazioni cliniche della malattia fra paziente e paziente. Le mutazioni che causano il deficit totale dell’enzima sono responsabili dei quadri clinici più gravi, con coinvolgimento multisistemico. Di questo tipo di mutazioni fanno parte:
- le mutazioni nonsenso, conosciute anche come mutazioni di Stop; possono dare assenza di proteina o una proteina completamente non funzionante;
- le mutazioni di splicing che interessano i siti canonici di splicing alterano di solito la trascrizione dell’RNA e di conseguenza la proteina che viene prodotta non è funzionante;
- le mutazioni missenso che portano a una sostituzione di un amino-acido importante nella sequenza dell’enzima con un amino-acido diverso, alterando ad esempio il sito attivo dell’enzima stesso;
- le delezioni o inserzioni, sia piccole che grandi che non permettono la produzione dell’enzima stesso;
Le mutazioni che riducono l’attività enzimatica dell’alfa-galattosidasi A ma permettono all’enzima di agire, perché presente una certa attività enzimatica residua, sono responsabili delle varianti della malattia di Fabry ad esordio tardivo (o “late-onset”) che si presentano generalmente con manifestazioni cliniche più lievi. Di questo tipo di mutazioni fanno parte principalmente le varianti missenso che destabilizzano la struttura tridimensionale dell’enzima senza alterare il sito attivo. A questa categoria appartengono mutazioni responsive al trattamento emergente basato sul chaperone farmacologico DGJ.
Come è ereditata la malattia di Fabry?
La Malattia di Fabry è ereditata in maniera X-linked poiché il gene GLA è situato sul cromosoma X. Il cromosoma X è presente in una sola copia nei soggetti di sesso maschile, mentre è presente in doppia copia nelle femmine. Per questo motivo quando un maschio porta una mutazione del gene GLA si dice che è emizigote per la mutazione, mentre nella femmina si parla di eterozigosi. Questa differenza fa sì che la malattia di Fabry venga ereditata in modo diverso a seconda che il genitore affetto sia la madre o il padre. Tutti i figli, sia maschi che femmine, ereditano una copia del cromosoma X dalla madre, quindi le madri eterozigoti per una mutazione del gene GLA hanno un rischio di trasmettere la malattia ai propri figli ad ogni nuovo concepimento pari al 50%, siano essi di sesso maschile o femminile.
I padri con la malattia di Fabry, avendo un’unica copia del cromosoma X, non trasmettono la malattia ai loro figli maschi (che ereditano il cromosoma X dalla madre, mentre dal padre ereditano il cromosoma Y). Al contrario, tutte le figlie femmine di un maschio affetto da malattia di Fabry ereditano il cromosoma X con la mutazione del gene GLA del padre e per questo si parla di eterozigoti obbligate.
Espressività della malattia nei maschi e nelle femmine
La malattia di Fabry può colpire maschi e femmine di tutte le provenienze etniche. L’espressione della malattia può essere diversa tra maschi e femmine anche a parità di mutazione e questo perché la malattia è ereditata con modalità legata al cromosoma X (X-linked). Tutti i maschi emizigoti per una mutazione del gene GLA manifestano la malattia, poiché hanno una sola copia del gene.
Le femmine eterozigoti per una mutazione del gene GLA hanno invece anche una copia normale del gene. Questo può influenzare il grado di espressione della malattia in funzione di un complesso meccanismo genetico noto come inattivazione del cromosoma X.
L'inattivazione del cromosoma X, detto anche lyonizzazione, è un normale processo biologico che interessa tutte le femmine di mammifero e che consiste nella disattivazione di uno dei due cromosomi sessuali X presenti nelle loro cellule. L'inattivazione avviene durante lo sviluppo embrionale. Il cromosoma X inattivato è scelto a caso tra i cromosomi X di derivazione materna e paterna, secondo un processo indipendente da cellula a cellula. Di conseguenza, nelle femmine eterozigoti per una mutazione del gene GLA, alcune cellule inattiveranno il cromosoma X con la copia alterata del gene, mentre altre inattiveranno il cromosoma X con la copia normale del gene. Ne consegue che le femmine eterozigoti esprimeranno la mutazione del gene GLA a mosaico e l’espressione clinica della malattia dipenderà quindi da quante cellule esprimono in ogni organo la copia mutata del gene GLA.
Diagnosi biochimica e genetica
Per la conferma diagnostica non invasiva di malattia di Fabry sono fondamentali il dosaggio enzimatico dell’alfa-galattosidasi A e il test genetico basato sul sequenziamento del gene GLA.
La caratterizzazione genetica del paziente, oltre che per la conferma diagnostica, è utile anche:
- per una corretta consulenza genetica e per individuare i familiari affetti mediante ricerca mirata della mutazione familiare;
- per eventuali correlazioni genotipo-fenotipo;
- per l’eventuale scelta terapeutica ad esempio valutando la sensibilità agli approcci terapeutici emergenti, come la terapia basata sul chaperone farmacologico DGJ
In caso di sospetta malattia di Fabry, sia nei maschi che nelle femmine, bisogna distinguere tra la diagnosi in un paziente isolato (cioè senza familiari già diagnosticati con malattia di Fabry) e la diagnosi in un familiare di un paziente con malattia di Fabry accertata.
Diagnosi in paziente maschio
In presenza di un paziente maschio con sospetta malattia di Fabry, il dosaggio dell’enzima lisosomiale alfa-galattosidasi deve essere considerato il primo test per la conferma diagnostica. Il test genetico deve essere eseguito solo in caso di dosaggio positivo cioè in presenza di attività dell’alfa-galattosidasi A ridotta rispetto ai valori di controllo. In rarissimi casi l’analisi genetica di sequenziamento di routine può non consentire l’identificazione della mutazione causativa in pazienti maschi con deficit enzimatico accertato. In questi casi la conferma del deficit enzimatico su campioni diversi, come ad esempio sangue e fibroblasti coltivati da biopsia cutanea, consente comunque la conferma diagnostica della malattia.
Diagnosi in paziente femmina
In presenza di una femmina con sospetta malattia di Fabry il dosaggio dell’enzima lisosomiale alfa-galattosidasi A può non essere conclusivo come singolo test, a causa dell’interferenza dell’allele normale del gene GLA. Infatti, a causa dell’inattivazione casuale del cromosoma X, nelle femmine eterozigoti l’attività enzimatica può essere deficitaria (in caso di inattivazione sbilanciata a favore della copia mutata del gene), ma può essere anche normale (in caso di inattivazione bilanciata fra le due copie del gene). La conferma diagnostica di stato di eterozigosi nelle femmine deve essere pertanto effettuata con il test genetico-molecolare anche in presenza di attività enzimatica dell’alfa-galattosidasi A nel range dei controlli normali.
Consulenza genetica in pazienti Fabry
La consulenza genetica rimane un punto chiave per i pazienti che sono stati diagnosticati come affetti da malattia di Fabry. Un’accurata consulenza genetica consente la corretta interpretazione dei dati biochimici e genetico-molecolari premettendo successivamente anche lo screening di altri membri della famiglia a rischio.
A cura della dott.ssa Amelia Morrone
“Questo bambino è molto pigro e vuole sempre stare davanti alla televisione, non vuole mai uscire, giocare a pallone, andare in bicicletta. Cosa possiamo fare?”
Questa è una domanda che spesso viene fatta al pediatra dalla famiglia riguardo ad un bambino affetto da malattia di Fabry ma non ancora diagnosticato. E spesso, oltre ad essere uno “sfaticato”, questo bambino lamenta bruciori alle mani e ai piedi, dolori addominali, diarrea alternata a stipsi, mal di testa, sensazione di vertigine, tinnito. La mamma a volte riferisce al medico che si è accorta del fatto che il bambino suda poco o non suda per niente: “anche quando corre d’estate lui diventa tutto rosso ma la maglietta resta asciutta”.
Spesso passano anni prima di giungere alla diagnosi, principalmente perché tutti questi sintomi non hanno un corrispettivo clinico o strumentale, gli esami del sangue sono a posto, la velocità di conduzione nervosa è normale come lo è anche l’ecografia addominale e tutti gli altri esami che il pediatra prescrive. A volte ci sono anche degli adulti nella famiglia che sono affetti da malattia di Fabry e non lo sanno ancora.
Ci sono stati casi di adulti diagnosticati quando la malattia era già in uno stadio avanzato, sulla base della diagnosi raggiunta fortunosamente nel figlio, ma più spesso i bambini con malattia di Fabry sono diagnosticati per la presenza in famiglia di un adulto affetto che può essere la mamma o lo zio materno o, solo per le bambine, il papà.
La malattia di Anderson-Fabry è stata a lungo considerata come una malattia che si manifestava clinicamente solo nel maschio adulto. Fino alla fine del secolo scorso era generalmente accettato che le femmine eterozigoti e i bambini non avessero sintomi rilevanti. Solo intorno al 2000 ci si è resi conto che i sintomi della malattia di Fabry sono presenti nei bambini, sia maschi che femmine, già ad un’età molto precoce e sono causa di una ridotta qualità di vita.
I sintomi
I primi lavori di analisi dettagliata dei segni e sintomi nel bambino hanno mostrato che l’acroparestesia, l’ipo/anidrosi, la cefalea ricorrente, il rifiuto di attività fisica, il precoce affaticamento, i disturbi gastrointestinali, erano presenti in più del 50% dei bambini sotto i 10 anni e la frequenza e l’intensità di questi disturbi aumentava nel tempo con l’età. Una modesta percentuale di bambini aveva già anche qualche segno di danno renale (proteinuria), o cardiaco (bradicardia) e sono stati riportati anche alcuni casi di pazienti (sia maschi che femmine) che hanno avuto un ictus al di sotto dei 18 anni:
- L’acroparestesia, che si presenta molto presto, soprattutto nel maschio, viene definita come una crisi di dolore acuto urente che interessa le superifici palmari e plantari di mani e piedi, è caratteristica nei bambini e negli adolescenti e tipicamente si riduce in intensità e frequenza fino a scomparire nell’età adulta. Il dolore è ricorrente e spesso esacerbato da febbre, esercizio fisico, esposizione al caldo o al freddo. Si tratta di una neuropatia periferica che coinvolge principalmente le piccole fibre afferenti amieliniche (fibreC) che mediano sensazioni di caldo e dolore e le fibre scarsamente mielinizzate (A-delta) che mediano la sensazione di freddo. Il danno di queste piccole fibre non può essere identificato con esami strumentali usuali.
- Ipoidrosi-anidrosi (in pochi casi iperidrosi), insieme ad anomalie della secrezione salivare e lacrimale, sincopi, anomalie della motilità gastrointestinale sono una delle disfunzioni del sistema nervoso autonomo dovute all’accumulo di glicosilsfingosidi nei gangli del sistema nervoso periferico. Anche le alterazioni del ritmo cardiaco (principalmente bradicardia) possono essere spiegate da una alterazione del sistema nervoso periferico.
- La scarsa tolleranza alla fatica fisica e il rifiuto di cimentarsi in attività sportive sono attribuibili in gran parte all’ipoidrosi e al fatto che l’attività fisica e il caldo sono uno stimolo all’insorgenza di crisi di dolore alle estemità.
- Le alterazioni della motilità gastrointestinale, caratterizzate da ritardato svuotamento gastrico, stipsi, diarrea, dolori addominali che simulano quelli dell’appendicite, sono anch’esse molto disturbanti.
- Tinnito, sensazioni parossistiche di vertigine e perdita improvvisa dell’udito sono tutti segni visti nei bambini e anche questi sono dimostrazione di un danno nervoso periferico che interessa le fibre nervose uditive e del labirinto.
- L’angiocheratoma è un’altra manifestazione tipica della malattia che può esordire nell’infanzia/adolescenza, usualmente nella seconda decade di vita. Le lesioni sono piccole, rilevate, di colore rosso-nero, simili a macule o papule; queste sono causate dalle dilatazioni di vasi intradermici per accumulo di Gb3. Le prime lesioni possono sfuggire ad un esame obiettivo superficiale, singole o a gruppi, dalle zone attorno allo scroto e in regione periombelicale si diffondono a tutto il corpo, la distribuzione tipica è quella dei “calzoncini da bagno” e interessa i genitali.
- La Cornea verticillata, visibile con lampada a fessura, è un segno patognomonico della malattia, asintomatico, di frequente riscontro occasionale, l’aspetto della cornea è simile a quello indotto da terapia cronica con amiodarone o clorochina quindi di facile diagnosi differenziale. Altre alterazioni oftalmologiche sono la tortuosità dei vasi retinici e congiuntivali e, nell’adulto, opacità corneali e cataratta.
Esiste però una certa percentuale di bambini che non hanno sintomi e per i quali la malattia si manifesterà solo in età adulta con insufficienza renale o cardiaca. In genere questo accade nelle famiglie che dal punto di vista genetico hanno una mutazione meno grave, che porta ad una certa modesta attività enzimatica residua. Anche i maschi adulti, se identificati nella famiglia hanno in questi casi manifestazioni della malattia meno aggressive che nel maschio con forma classica e spesso i loro segni e sintomi interessano prevalentemente un unico organo e si manifestano in età adulta. Non è chiaro quante possano essere le famiglie con questo quadro clinico: se ci si basa sui risultati degli studi pilota di screening neonatale potrebbero essere anche molto frequenti, 7-8 volte la forma classica.
Quando trattare con terapia enzimatica sostitutiva (ERT)
Effettivamente i sintomi sono tanti e disturbanti ma nonostante ciò può essere molto difficile, sia per la famiglia che per il medico, rendersi conto della presenza e della gravità dei sintomi in un bambino. E’ frequente l’impressione dei medici di una certa sottostima dei sintomi da parte delle famiglie, cosa comprensibile visto che si tratta di sintomi che il bambino ha da sempre e che i genitori affetti ricordano come presenti in modo analogo nella loro infanzia.
La decisione di trattare o no con ERT va presa in accordo con la famiglia, valutando da una parte il reale disturbo che causano i sintomi e il vantaggio di ridurre l’accumulo precocemente, contro il disturbo di ricevere una infusione lunga per via endovenosa ogni 2 settimane. La somministrazione al bambino di questionari che riguardano la sua qualità di vita può essere utile per capire, nel singolo bambino quanto la malattia è disturbante per lui.
Esistono linee guida nei vari paesi europei, che in sostanza suggeriscono di trattare, oltre ai bambini che hanno già segni d’organo, anche quelli che lamentano dolore consistente ricorrente o cronico, che interessa le estremità, le articolazioni, o l’apparato gastro-intestinale.
Nella decisione sul trattamento deve anche essere tenuto in conto che la ERT :
- non riduce l’angiocheratoma o la cornea verticillata,
- migliora parzialmente i sintomi gastrointestinali e riferibili al sistema nervoso periferico,
- previene la malattia renale o cardiaca o almeno ne riduce la progressione.
Altre terapie
Prevenzione ambientale: evitare viaggi estivi in zone calde, evitare ambienti chiusi affollati, preferire luoghi ombreggiati, d’estate ventilare le abitazioni, in caso di necessità prevenire la temperatura eccessiva con spugnature fresche. Esistono terapie che possono essere assunte per il dolore cronico e che agiscono modificando l’attività dei neurotrasmettitori (difenilidantoina, carbamazepina, gabapentin e pregabalin). Gli antinfiammatori non steroidei possono essere utilizzati per le crisi di dolore da acroparestesia. Per i disturbi gastro-intestinali è consigliata una dieta moderatamente ipolipidica composta di piccoli pasti frequenti e in alcuni casi è riportata una certa efficacia con l’assunzione di menta piperita. Per la perdita acuta di udito deve essere impiegato un trattamento cortisonico a dose piena. Tutte queste terapie possono essere utilizzate nel singolo paziente solo in seguito a regolare prescrizione e con controllo medico.
A cura del dott.sa Rossella Parini
La nefropatia in corso di malattia di Fabry si manifesta clinicamente nei maschi emizigoti con la comparsa nella seconda e terza decade di vita di proteinuria ed ipertensione arteriosa associate ad una riduzione della funzione renale che progredisce verso la insufficienza renale terminale intorno alla quarta-quinta decade di vita. Nelle femmine la patologia renale si manifesta più tardivamente, ha un decorso più lento ma determina comunque la comparsa di insufficienza renale in un numero significativo di donne (1-4%).
La proteinuria (presenza di proteine nelle urine) è in genere modesta (meno di 2gr/24h) e raramente raggiunge i valori di sindrome nefrosica (superiore a 3,5 g/24h). L’entità della proteinuria è correlata nei maschi all’aumentare dell’età anagrafica ed alla riduzione della funzione renale. La proteinuria inoltre, analogamente a quanto accade in altre nefropatia, è un fattore importante nella progressione del danno renale. Vi è ormai un consenso diffuso che una proteinuria/24h >1g è associata ad un decorso più veloce della riduzione della funzione renale verso l’uremia. Questo accade piochè la presenza di abuminuria (proteinuria) è in grado di alterare le cellule tubulari che perdono almeno in parte le loro caratteristiche con ripercussioni sulla struttura (fibrosi) e funzione del rene. Tale fenomeno si osserva sia nel decorso spontaneo della malattia sia nei soggetti trattati con terapia enzimatica.
In generale i valori della pressione arteriosa sono più bassi nei pazienti Fabry che nella popolazione generale a causa soprattutto del coinvolgimento del sistema nervosa autonomo ed alla cardiomiopatia. Ne consegue che valori di pressione normali potrebbero essere in realtà fuorvianti. La prevalenza di ipertensione arteriosa comunque si aggira intorno al 50-60% al sesso maschile ed è correlata alla riduzione della funzione renale. Anche la presenza di ipertensione arteriosa è associate ad un più rapido declino della funzione renale e pertanto un controllo ottimale della pressione riduce la velocità di progressione. Per il controllo della pressione si suggerisce di ottenere valori pressori <125/75 mmHg in pazienti con proteinuria >1 g/24h e <130/80 mmHg ed in pazienti con proteinuria di 0.25–1 g/24h. E’ stato suggerito anche di essere molto attenti a non ridurre troppo i valori di pressione arteriosa <100/70 mmHg perché associati ad un aumentato rischio cardiovascolare e di eventi renali avversi. I farmaci antipertensivi da utilizzare sono in prima istanza, come nelle altre nefropatie, i farmaci inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina (ACE) e/o gli inibitori recettoriale (ARB).
La riduzione della funzione renale si evidenza nei maschi già alla seconda decade di vita con riduzione del filtrato glomerulare stimato e aumento della creatininemia. La riduzione annuale (slope) del filtrato glomerulare è stata stimata in lavori retrospettivi che hanno ricostruito la storia naturale della malattia. Si è visto che lo slope nei maschi può variare tra -3 e -6.8 ml/anno, nelle femmine tra -0.9 e -2.1, essendo il decorso più rapido quando il i filtrato glomerulare è <60 ml/min/1.73m2. La progressione del danno determina la comparsa di uremia e quindi la necessità di iniziare la terapia sostitutiva. E’ importante ricordare che il rischio cardiovascolare associato alla insufficienza renale è incrementato nei pazienti Fabry dalla concomitante cardiomiopatia.
Patogenesi
Il danno renale è dovuto alla deposizione dei prodotti di degradazione dei lipidi complessi, in gran parte globotriaosylceramide (Gb3), nel citoplasma delle cellule renali. La deposizione interessa tutte le cellule del glomerulo, dei tubuli e dei vasi. La deposizione inizia molto presto nella vita come è stato dimostrato in una popolazione di bambini (maschi e femmine) nella seconda decade di vita e con quadri clinici di nefropatia modesti o talvolta assenti.
La vacuolizzazione del citoplasma cellulare, definita a nido d’ape, è la lesione caratteristica ma non patognomonica della malattia di Fabry. Tale vacuolizzazione è il risultato della dissoluzione dei depositi di Gb3 avvenuta durante l’allestimento dei preparati istologici a causa dei solventi utilizzati nelle colorazioni standard. Se infatti i frammenti tessutali vengono inclusi in resina e colorati con ad esempio il blu di toluidina il citoplasma ellulare appare ripieno di granuli (deposizione di Gb3). Anche nel frammento congelato (quindi non venuto a contatto con i solventi lipofili) ed osservato al microscopio a fluorescenza è possibile osservare depositi di Gb3 che sono auto-fluorescenti.Nelle fasi più avanzate della nefropatia il danno si appalesa con cicatrici localizzate nel contesto del glomerulo presenti solo in alcuni e non in altri (glomerulosclerosi focale e segmentale). Successivamente i fenomeni di sclerosi saranno più diffusi e i glomeruli progressivamente assumeranno l’aspetto di sclerosi globale e diffusa. Al microscopio elettronico tali depositi appaiono altamente osmiofili e strutturati a lamelle concentriche a formare i cosiddetti corpi zebrati.. Quando osservate a ingrandimenti intorno a 100.000 si può vedere come le lamelle sino fatte da strutture periodiche e non siano omogenee Alla microscopia ottica si può osservare anche un incremento della matrice delle e delle cellule mesangiali e aspetti di sclerosi focale e segmentale. Il ruolo della deposizione di Gb3 nel podocita sembra essere estremamente importante nella nefropatia, infatti si correla con la proteinuria, con l’età e con la progressione del danno. Inoltre l’accumulo di Gb3 nelle cellule tubuli, soprattutto quelle distali determina la comparsa di difetti tubulari che sono i primi segni di nefropatia rilevabili.
La patogenesi della nefropatia di Fabry non è completamente conosciuta ed è probabilmente multifattoriale. Il progressivo accumulo di Gb3 non è un fenomeno passivo. E’ stato dimostrato che nelle cellule mesangiali il Gb3 è in grado di modificare la sintesi delle citochine (molecole infiammatorie) verso l’infiammazione e la sclerosi e nelle cellule muscolari lisce verso la proliferazione delle stesse (aumento di cellule intorno ai vasi ch e restringono il lume). Le cellule endoteliali reagiscono alla deposizione di Gb3 con un aumento delle sostanze ossidanti ed un’aumentata espressione delle molecole di adesione. In realtà vi sono evidenze che dimostrano come la deposizione di Gb3 intra-lisosomiale sia in grado di interferire con i processi di attivazione dell’immunità, in particolare ’immunità innata. Il Gb3 sarebbe in grado di interferire con i recettori dei linfociti (toll-like receptor) e promuovere la sintesi ed il rilascio da parte di cellule del sistema immune di sostanza che provocano un’ infiammazione subdola seguita dalla sclerosi dei tessuti. Recentemente è stato descritto che il Gb3 determina nelle cellule una dis-regolazione dei processi di autofagia con successivo danno cellulare. Questo modello patogenetico ha dei riflessi diretti e significativi sulla terapia. Infatti è strategico ridurre e/o impedire la deposizione di Gb3 poiché una volta attivati i processi immunologici e flogistici descritti precedono autonomamente e la terapia enzimatica ha un’efficacia ridotta.
A cura del dott. Feriozzi Sandro
Il coinvolgimento cardiaco nella malattia di Fabry è un’evenienza molto frequente documentabile, seppur con diversa gravità, nella maggior parte dei pazienti di sesso maschile e femminile. La presenza e l’entità del danno cardiaco aumentano progressivamente con l’età e costituiscono una causa importante di mortalità e morbilità. Assieme al danno renale terminale, il coinvolgimento cardiaco rappresenta la prima causa di morte (1).
Il cuore può essere l’unico organo coinvolto nella forma ad esordio tardivo, cosiddetta ’variante cardiaca’, della malattia. Tale forma è per lo più causata da mutazioni missense che portano alla presenza di una attività residua dell’enzima alfa-galattosidasi-A sufficiente a ritardare l’insorgenza delle manifestazioni cliniche che spesso risultano confinate ad alcuni organi rispetto alla forma classica di malattia (2).
La malattia di Fabry a livello cardiaco determina l’accumulo di globotriaosilceramide (Gb3) in tutti i tipi cellulari del cuore: miocardiociti, cellule endoteliali e muscolari lisce dell’endocardio e dei vasi epicardici e intramiocardici, cellule del tessuto di conduzione e tessuto valvolare. Tale accumulo si traduce in un aumento delle dimensioni cellulari e, di conseguenza, in un ispessimento delle pareti cardiache, in particolare quelle ventricolari.
Il coinvolgimento del tessuto di conduzione rappresenta il substrato per fenomeni aritmici che possono verificarsi all’esordio o durante la storia naturale della malattia. Il coinvolgimento endoteliale e delle cellule muscolari lisce determina un danno anatomico e funzionale a livello del microcircolo miocardico, responsabile dell’alterata perfusione sotto sforzo e a riposo e dei sintomi anginosi spesso riferiti dai pazienti. A livello del tessuto valvolare l’accumulo di glicosfingolipidi determina un ispessimento dei lembi e delle cuspidi valvolari, in particolare a livello mitralico e aortico. L’insufficienza mitralica e quella aortica sono i vizi valvolari più frequentemente riscontrati, in genere di gravità non tale da richiedere la correzione chirurgica.
Cardiomiopatia nella malattia di Fabry
Le alterazioni descritte a carico dei diversi tipi cellulari e delle diverse componenti del cuore configurano nel loro insieme la cardiomiopatia di Fabry. La caratteristica prevalente di questa entità clinica, sia nell’ambito di una malattia sistemica che come variante cardiaca, è il quadro di ipertrofia ventricolare sinistra. Negli ultimi anni è stato dimostrato che la cardiomiopatia di Fabry è presente nello 0.5-1% dei pazienti con diagnosi di cardiomiopatia ipertrofica.
La difficoltà nella diagnosi differenziale è accentuata dal fatto che, sebbene la cardiomiopatia di Fabry sia prevalentemente caratterizzata da un’ipertrofia concentrica del ventricolo sinistro, essa può presentarsi anche come ipertrofia asimmetrica settale, apicale, o con una forma ostruttiva. Nella variante cardiaca la assenza di chiare manifestazioni sistemiche di malattia rende ulteriormente complessa la diagnosi differenziale.
Manifestazioni cliniche del coinvolgimento cardiaco
Scompenso Cardiaco
La dispnea da sforzo è un sintomo frequente nei soggetti con cardiomiopatia di Fabry. Nella maggior parte dei casi la sintomatologia dispnoica, così come la facile faticabilità e l’astenia, sono da ricondurre alla disfunzione diastolica che caratterizza fin dall’esordio la malattia. La disfunzione diastolica spesso precede la comparsa di una chiara ipertrofia ventricolare ed è l’espressione precoce della iniziale disfunzione dei miocardiociti. Il progressivo accumulo di glicosfingolipidi, unitamente all’ischemia miocardica, determina una sempre maggiore disfunzione cellulare e una progressiva perdita di miocardiociti con conseguente sostituzione fibrosa. Pertanto, nelle fasi più avanzate della malattia, alla disfunzione diastolica si associa la disfunzione sistolica e la progressione verso una forma ipocinetica e dilatativa di cardiomiopatia, analogamente a quanto avviene nella cardiomiopatia ipertrofica sarcomerica.
Dolore toracico
Il dolore toracico è un sintomo riferito dal 60% dei maschi affetti e da oltre il 50% delle donne eterozigoti. La sintomatologia anginosa è generalmente da sforzo, ma può presentarsi frequentemente anche a riposo. Nella malattia di Fabry non è stata evidenziata un’aumentata incidenza di malattia coronarica, mentre l’ischemia miocardica è da ricondursi ad un’alterazione strutturale e funzionale del microcircolo, come evidenziato da studi di imaging di perfusione basale e da test provocativi con dipiridamolo e adenosina. L’alterata riserva coronarica è principalmente legata alla disfunzione del microcircolo sopra descritta.
Aritmie
Le aritmie costituiscono un evento frequente nei pazienti con malattia di Fabry.
È stata osservata un’aumentata incidenza di accorciamento dell’intervallo PQ soprattutto in età giovanile. Il progressivo danno a carico del tessuto di conduzione determina successivamente disturbi della conduzione atrio-ventricolare o bradiaritmie, che richiedono spesso l’impianto di un pacemaker. Le aritmie sopraventricolari, in particolare la fibrillazione atriale, rappresentano una complicanza frequente della disfunzione diastolica e dell’ingrandimento atriale sinistro secondari all’ipertrofia nella cardiomiopatia di Fabry. Aritmie ventricolari possono rappresentare una complicanza importante della forma conclamata della cardiomiopatia di Fabry. È stato dimostrato che il monitoraggio prolungato mediante registratori di eventi impiantabili sottocute (loop recorders) permette di identificare bradi e tachiaritmie, spesso asintomatiche, il cui riconoscimento può modificare significativamente il trattamento del paziente, in termini di impianto di device, terapia anticoagulante, terapia antiaritmica.
Eventi tromboembolici
Nella malattia di Fabry l’aumentata incidenza di eventi ischemici cerebrali sembra associata prevalentemente ad un danno danno vascolare, inteso sia come alterata funzione endoteliale che come anomalie del decorso dei vasi cerebrali nonché ad uno stato pro trombotico che caratterizza la malattia. A questo va aggiunto come la cardiomiopatia rappresenti una importante fonte emboligena, sia per il coinvolgimento dell’endocardio che per un’aumentata incidenza di fibrillazione atriale, spesso asintomatica.
La valutazione del coinvolgimento cardiaco nella malattia di Fabry
La valutazione del coinvolgimento cardiaco nell’ambito della malattia di Fabry si basa sulla valutazione clinica da parte del cardiologo integrata da metodiche strumentali.
Compito del cardiologo è anche e soprattutto quello di monitorare il coinvolgimento cardiaco e l’efficacia delle terapie instaurate, attraverso la ripetizione nei modi e nei tempi raccomandati, delle valutazioni cliniche de gli esami strumentali.
Elettrocardiogramma
A differenza di altre patologie infiltrative del cuore (es. amiloidosi), la cardiomiopatia di Fabry è caratterizzata da segni elettrocardiografici di ipertrofia ventricolare sinistra con alti voltaggi e segni di sovraccarico ventricolare. La presenza di un intervallo PQ breve (<120m msec) non è specifica della malattia di Fabry ma è frequente in età giovanile, anche in assenza di ipertrofia ventricolare sinistra. Con il progredire della malattia aumenta l’incidenza di vari gradi di blocco atrio-ventricolare. È importante ricordare che nella malattia di Fabry sono più frequenti che in altre cardiomiopatie la bradicardia sinusale e la incompetenza cronotropa (ridotto incremento della frequenza cardiaca durante uno sforzo fisico).
Ecocardiogramma
L’ecocardiogramma è la metodica di prima scelta nella diagnosi e nella valutazione della cardiomiopatia di Fabry poichè permette di valutare in modo accurato il grado di coinvolgimento cardiaco in termini di ipertrofia ventricolare sinistra, danno valvolare, funzione diastolica e funzione contrattile.
Recentemente è stato dimostrato come l’impiego di tecniche più sofisticate quali l’analisi del Doppler tissutale e del derivato Strain Rate consentano di evidenziare alterazioni precoci della funzione diastolica e sistolica miocardica, prima dello sviluppo dell’ipertrofia ventricolare sinistra e prima che sia evidente una disfunzione diastolica e sistolica conclamata secondo i parametri convenzionali (flusso trans-mitralico, frazione di eiezione).
La possibilità di identificare precocemente il coinvolgimento cardiaco, prima dello sviluppo di ipertrofia ventricolare sinistra, rende tali metodiche fondamentali per la diagnosi precoce del danno cardiaco e quindi per l’instaurazione precoce della terapia sostitutiva.
Risonanza magnetica
La risonanza magnetica cardiaca permette una migliore valutazione morfofunzionale del cuore e fornisce informazioni su presenza ed estensione della fibrosi attraverso le sequenze dopo dopo somministrazione di mezzo di contrasto (Late Gadolinium Enhancement, LGE). Numerosi studi hanno mostrato un caratteristico pattern di LGE mesocardico in sede infero-laterale basale del ventricolo sinistro, che è stato proposto come marker distintivo della cardiomiopatia di Fabry (13). Nuove sequenze dedicate allo studio del T1 mapping hanno evidenziato che la cardiomiopatia di Fabry mostra un tempo di rilassamento T1 significativamente più basso rispetto ad altre forme di ipertrofia cardiaca ed ai controlli sani. Tale riduzione, che rifletterebbe l’aumentato contenuto di materiale lipidico nel muscolo cardiaco, è stata riscontrata anche in soggetti con genotipo positivo ma senza ipertrofia ventricolare sinistra, suggerendo il possibile utilizzo dello studio con T1 mapping non solo nella diagnosi differenziale tra diverse cause di ipertrofia ventricolare sinistra ma anche nella diagnosi precoce dell’accumulo di Gb3 nel miocardio.
La terapia cardiologica nella malattia di Fabry
La terapia cardiologica del paziente con cardiomiopatia di Fabry si inserisce in un programma terapeutico polispecialistico, e deve quindi integrarsi con le problematiche legate al coinvolgimento di altri distretti dell’organismo. Gli obiettivi sono rappresentati dal miglioramento dei sintomi e della qualità di vita, dalla prevenzione dell’ischemia e del rimodellamento cardiaco, nonché dalla gestione delle problematiche aritmiche.
Esistono raccomandazioni cardiologiche italiane che trattano specificamente gli aspetti terapeutici cardiologici in aggiunta alla terapia enzimatica sostitutiva (2).
Nell’ambito di questa trattazione è tuttavia importante ricordare alcuni aspetti importanti.
Beta-bloccanti e verapamil devono essere impiegati con cautela per l’elevata incidenza di bradicardia e di disturbi della conduzione AV e IV. L’utilizzo di ACE-inibitori e sartani è indicato per prevenire un rimodellamento negativo in senso ipertrofico e successivamente dilatativo. Tra gli antiaritmici, l’amiodarone è il farmaco più efficace per il trattamento della fibrillazione atriale e delle aritmie ventricolari, ma deve essere usato con estrema cautela per le note possibili interferenze a livello lisosomiale. Le indicazioni all’impianto di pace-maker e defibrillatore seguono le linee guida cardiologiche generali, non essendo applicabili le recenti linee guida relative alla cardiomiopatia ipertrofica sarcomerica. Qualora si instauri uno scompenso sistolico, analogamente a quanto succede per la cardiomiopatia ipertrofica, i diuretici vanno utilizzati con cautela per non ridurre eccessivamente il precarico.
Sono riportati in letteratura numerosi casi di miectomia in pazienti con cardiomiopatia di Fabry e ostruzione all’efflusso ventricolare sinistro; così come non è controindicato il ricorso al trapianto cardiaco nelle forme di scompenso avanzato.
Bibliografia
- Linhart A, Kampmann CL, Zamorano JL et al. Cardiac manifestations of Anderson-Fabry disease: results from the international Fabry outcome survey. Eur Heart J. 2007;28:1228-1235.
- Pieruzzi F, Pieroni M, Zachara E, Marziliano N, Morrone A, Cecchi F. Heart involvement in Anderson-Fabry disease: Italian recommendations for diagnostic, follow-up and therapeutic management. G Ital Cardiol. 2015;16:630-8.
A cura del dott. Maurizio Pieroni
Fig. 1 - La Malattia di Fabry, dai sintomi precoci (neuropatia dolorosa, angiocheratoma e cornea verticillata) alle fasi più avanzate (danno degli organi vitali)Sono due le principali manifestazioni cliniche del coinvolgimento neurologico nella M. di Fabry [1]:
- La neuropatia dolorosa
- Le cosiddette complicanze cerebrovascolari
Il decorso della malattia (nei maschi, nella così detta forma tipica o classica) è mostrato in Fig. 1, che vuole anche sottolineare l’esordio precoce dei dolori urenti delle estremità (neuropatia dolorosa).
La Neuropatia dolorosa
Come si manifesta?
Il dolore neuropatico nella malattia di Fabry è caratterizzato da dolori accessuali, spesso come “bruciore”, di intensità variabile, che interessano le estremità degli arti. Questa sintomatologia è stata chiamata impropriamente “acroparestesie dolorose”. In effetti, l’associazione con le parestesie (intorpidimento, punture di spilli) è presente solo nel 10% dei casi.
Tale dolore, definito dai pazienti come urente, lancinante e/o straziante, interessa le estremità superiori e inferiori, con maggiore coinvolgimento del palmo della mano e della pianta del piede, in maniera simmetrica. I giovani pazienti riferiscono ricorrenti episodi, di durata variabile, da alcuni minuti a diversi giorni. Sintomi sistemici, quali ad esempio febbre, intolleranza al caldo e/o al freddo, ridotta o assente sudorazione e disturbi gastrointestinali, accompagnano il quadro neurologico. La febbre, la temperatura esterna elevata e l’esercizio fisico rappresentano tutti stimoli di scatenamento del dolore, che si accompagna a debolezza ed a malessere generale. La sintomatologia gastro-intestinale si caratterizza per la presenza di dolore intestinale, diarrea o raramente stipsi. Nelle donne tali dolori addominali possono essere sospettati di origine ginecologica.
Fig. 2 - La Malattia di Fabry nei maschi (quadri clinici tipici ed atipico) e nella donneQuesto sintomo è molto frequente e compare nella maggioranza dei pazienti Fabry con quadro clinico classico, e in molte donne affette. E’ invece quasi sempre assente nei pazienti maschi con quadro clinico tipo o late-onset. (Fig. 2)
Una cosa molto importante è che la neuropatia dolorosa è un sintomo precoce, perché compare già nella prima/seconda decade di vita e ha perciò un importante valore diagnostico: la sua gestione richiede la compartecipazione del medico di base e/o del pediatra.
Il dolore neuropatico, soprattutto nelle donne, può attenuarsi nel tempo. Nei casi più gravi, la qualità di vita delle persone con questa sintomatologia è severamente compromessa.
Da cosa è causato?
I nervi sono costituiti di fibre di piccolo e grande calibro.
Il dolore neuropatico rispecchia il coinvolgimento delle fibre di piccolo calibro dei nervi periferici(fibre Aδ e C e fibre del sistema nervoso autonomo), che portano appunto la sensibilità per il caldo, il freddo e il dolore, controllano gli organi viscerali e le funzioni cardiorespiratorie. L‘intolleranza al caldo, al freddo, la ridotta o assente sudorazione e le manifestazioni gastrointestinali sono tutte espressioni del coinvolgimento del sistema nervoso autonomo.
Le fibre nervose di grande calibro portano la sensibilità al tatto e il senso di posizione del corpo nello spazio, oltre che permettere tutti i nostri movimenti attraverso l’innervazione di articolazioni e muscoli. Queste fibre di grande calibro non sono affette nella Malattia di Fabry.
Vedremo che questo rende difficile riconoscere e diagnosticare il dolore neuropatico, che viene spesso scambiato per dolore articolare o reumatico.
Come si può riconoscere e diagnosticare il dolore neuropatico?
Dal punto di vista clinico, il dolore neuropatico della malattia di Anderson-Fabry viene spesso misconosciuto e scambiato per un dolore di origine reumatologica o psicogena, anche se in mani esperte la diagnosi differenziale dovrebbe essere relativamente facile. Come mai avviene questo?
In realtà, la diagnosi della natura neuropatica di un dolore poggia solo sull'attento ascolto da parte del medico del racconto del paziente. Infatti nel caso delle neuropatie delle piccole fibre (e del dolore neuropatico) l’esame obiettivo è negativo e così anche la EMG/ENG. I riflessi osteotendinei (martelletto sul ginocchio) e le prove della sensibilità tattile e di posizione sono nella norma. Questi parametri obiettivi si alterano solo quando siamo in presenza di una neuropatia delle grosse fibre implicate nella sensibilità tattile e di posizione e nell’ innervazione muscolare, il che non accade fortunatamente nei pazienti affetti da malattia di Fabry.
Fig. 3 - Nella cute dei pazienti Fabry, l’innervazione autonomica del microcircolo (F), del muscolo erettore del pelo (G) e delle ghiandole sudoripare (H) è deficitaria. (A-D soggetto normale; E-H soggetto Fabry)In tutte le neuropatie delle piccole fibre, e quindi anche nella neuropatia dolorosa della Malattia di Fabry, la biopsia cutanea per lo studio della innervazione intraepidermica dimostra la perdita di assoni e le inclusioni osmiofile a livello delle piccole fibre cutanee, confermando così la diagnosi clinica. È un esame utile, da effettuare in casi selezionati, e che risulta essere positivo anche in casi avanzati di malattia, come ad esempio nelle donne che con il tempo riferiscono un attenuarsi della sintomatologia algica [2] (Fig. 3).
Infine, si deve ricordare che il dolore neuropatico è caratteristico ma non specifico della Malattia di Fabry, perché oltre altre affezioni , dal diabete a malattie genetiche rare, possono dare la sintomatologia caratteristica del dolore neuropatico.
Quali terapie si usano?
La neuropatia dolorosa può abbassare notevolmente la qualità della vita delle persone affette da Malattia di Fabry. Il dolore può essere discretamente controllato dalle terapie che da tempo si usano per il dolore neuropatico anche dovuto ad altre cause, come paracetamolo, carbamazepina, gabapentin, pregabalin; solo in casi eccezionali, per le crisi acute, si possono usare oppioidi.
Tutti questi farmaci sono sintomatici e non influenza l’evoluzione della patologia.
Ci sono evidenze che anche la terapia enzimatica sostitutiva può migliorare la sintomatologia dolorosa della neuropatia, ma il meccanismo esatto di questo effetto non è sufficientemente noto.
Le cosiddette complicanze cerebrovascolari
Come si manifestano?
Fig. 4 - Si possono osservare i più comuni pattern di interessamento cerebrovascolare nella malattia di Fabry : lacune nei nuclei della base e nel tronco; leucoencefalopatia di grado lieve o massiva ; arteria basilare ectasica e tortuosa. (cortesia dr.ssa Ilaria Romani, Careggi Firenze)Queste complicanze, inizialmente asintomatiche e visibili colo con gli esami di RM, possono sfociare in diverse forme che comprendono TIA/Ictus ischemico acuto, encefalopatia lacunare/leucoencefalopatia multifocale, forme simil-sclerosi multipla ed embolia cerebrale cardiogena.
Le caratteristiche cliniche e neuroradiologiche della encefalopatia vascolare nella Malattia di Fabry sono ben note (in particolare il quadro di malattia dei piccoli vasi, anche con aspetti lacunari, in soggetti che hanno minor stroke recidivanti) (Fig. 4):
- TIA/ICTUS ISCHEMICO ACUTO: l’ evento è spesso ricorrente, con buon recupero, interessa un territorio arterioso profondo con conseguente infarto lacunare. E’ espressione della “small vessel disease”, ed esordisce in maschi giovani, di solito tra i 30 e i 40 anni, o in ambo i sessi tra i 40 e i 60 aa
- Encefalopatia lacunare/Vascolare MULTIFOCALE: questi quadri rivelata dalla RM encefalo possono restare asintomatici per molti anni, anche decenni, prima della comparsa di TIA/ICTUS ischemico acuto o di quadri diffusi di insufficienza del circolo cerebrale; anche le grosse arterie sono interessate (ectasia della basilare, più rari infarti di confine o nel territorio di una grossa arteria).
- Forme simil-sclerosi multipla, più aggressive e meno frequenti, compaiono in soggetti anche molto giovani (20-30 a.) di ambo i sessi, con deficit neurologici progressivi e disabilitanti, segni di tronco (del distretto vertebrobasilare), e leucoencefalopatia multifocale severa alla RM cerebrale.
- Embolia cerebrale cardiogena in soggetti con cardiomiopatia ipertrofica e/o fibrillazione atriale, specie se ad esordio <60aa
Come riportato in molti lavori, anche recenti le manifestazioni cerebrovascolari più importanti interessano oltre il 20/25% di pazienti con malattia di Anderson-Fabry, di ambo i sessi. Se vengono considerate anche le forme con malattia dei piccoli vasi che decorrono in maniera asintomatica, ma che vengono riscontrate con indagini strumentali (RM cerebrale), si arriva a un coinvolgimento molto più esteso. L’incidenza del coinvolgimento cerebrovascolare aumenta con l’età dei pazienti.
Quale è la causa delle complicanze cerebrovascolari nella malattia di Fabry?
L’accumulo dei glicolipidi nella parete dei vasi sanguigni sia a livello del micro-circolo che a livello dei grossi vasi arteriosi è ritenuto responsabile di modificazioni prima funzionali, poi strutturali, dei vasi sanguigni stessi con conseguenti eventi micro-ischemici nel tessuto cerebrale. Meccanismi attivi, di abnorme stimolazione recettoriale a livello per esempio delle cellule endoteliali o delle miocellule lisce, seppur probabili, non sono ben conosciuti. Nel caso dell’embolia cerebrale è invece l’infarcimento miocardico che causa la cardiopatia fibrillante e di conseguenza l’evento cardioembolico.
Le complicanze cerebrovascolari della Malattia di Fabry sono dovute al concorrere di più cause (multifattoriali), così che i meccanismi specifici dovuti alle alterazioni metaboliche della Malattia di Fabry si sommano a meccanismi più generali dovuti ad altri fattori nocivi per il ciclo sanguigno come i comuni fattori di rischio vascolare (diabete mellito, ipertensione arteriosa, ipercolesterolemia LDL, cardiopatie, ateromasia carotidea, fumo).
Le complicanze cerebrovascolari della Malattia di Fabry sono dovute al concorrere di più cause (multifattoriali), così che i meccanismi specifici dovuti alle alterazioni metaboliche della Malattia di Fabry si sommano a meccanismi più generali dovuti ad altri fattori nocivi per il ciclo sanguigno come i comuni fattori di rischio vascolare (diabete mellito, ipertensione arteriosa, ipercolesterolemia LDL, cardiopatie, ateromasia carotidea, fumo).
Come si può riconoscere la Malattia di Fabry in pazienti con malattia cerebrovascolare giovanile?
Questi quadri clinico-radiologici non sono specifici della Malattia di Fabry. Anzi essi compaiono molto più frequentemente nel contesto di altre patologie. Per questo si deve avere bene in mente che si tratta di quadri clinico-radiologici che possiamo attribuire alla Malattia di Fabry (sia pure in concorso multifattoriale di cause) nel contesto di un paziente che ha già una diagnosi stabilita di M. di Fabry, ma non possono essere usati di per sé per confermare una diagnosi di malattia di Fabry dubbia.
Comunque è importante tener presente anche la malattia di Fabry tra le tante cause di ictus precoce o encefalopatia su base vascolare, oggi note.
Gli studi di screening mostrano che la prevalenza di ictus ad esordio precoce causato dalla malattia di Anderson-Fabry non supera l’1 %, in ambo i sessi, nella generalità dei soggetti con ictus ischemico della stessa età.
Approfondimenti diagnostici per verificare la presenza di malattia di Fabry, sia sul piano clinico (anamnesi familiare, anamnesi per la neuropatia dolorosa, ispezione per presenza di angiocheratoma, visita oculistica per ricerca di cornea verticillata) che sul piano laboratoristico, (dosaggio dell’alfagalattosidasi A leucocitaria e/o esame genetico) possono essere giustificati in pazienti con ictus ischemico precoce , sospettabili per malattia di Fabry.
Quali terapie si usano?
Come con altri pazienti affetti da encefalopatia microvascolare, anche nei pazienti con malattia di Fabry si usano antiaggreganti, antitrombotici, endotelioprotettivi (aspirina, statine, anticoagulanti orali; folati per il trattamento dell’iperomocisteinemia). Questi trattamenti sono consigliati per analogia con il trattamento della molto più comune malattia cerebrovascolare da altre cause. Non ci sono studi specifici nella malattia di Anderson-Fabry per questi trattamenti.
Ci sono anche diversi case report di trombolisi endovenose effettuate in pazienti Fabry con ictus acuto , senza effetti avversi significativi.
Le recidive di ictus sono relativamente frequenti anche in soggetti che iniziano la terapia enzimatica sostitutiva, quando questa viene iniziata tardivamente, in soggetti già sintomatici per ictus o TIA.. Rimane però ancora un problema aperto se la terapia enzimatica sostitutiva possa contribuire con le altre terapie a prevenire l’insorgere di complicazioni cerebrovascolari nel lungo termine e/o in soggetti ancora asintomatici per ictus o TIA all’inizio della terapia enzimatica sostitutiva.
Bibliografia
Salviati A, Burlina AP, Borsini W.
Nervous system and Fabry disease, from symptoms to diagnosis: damage evaluation and follow-up in adult patients, enzyme replacement, and support therapy.
Neurol Sci. 2010 Jun;31(3):299-306. doi 10.1007/s10072-009-0211-y. PubMed PMID: 20300794; PubMed Central PMCID: PMC2869001.
Liquori, Di Stasi V, Bugiardini E, Mignani R, Burlina A, Borsini W, Baruzzi A, Montagna P, Donadio V.
Small fiber neuropathy in female patients with fabry disease. Muscle Nerve.
2010 Mar;41(3):409-12.
Le manifestazioni gastrointestinali sono estremamente diffuse tra i pazienti con malattia di Fabry e compaiono molto precocemente. Sebbene non siano generalmente pericolose per la sopravvivenza, incidono fortemente sulla qualità di vita e potrebbero anche fungere da campanello di allarme per facilitare una diagnosi precoce della malattia.
Quale è la causa di questi sintomi?
I sintomi sono dovuti ad una riduzione della motilità di tutto il canale digerente, dovuto all’accumulo del glicolipide globotriaosilceramide nel sistema nervoso del tratto gastoenterico così come nella muscolatura liscia. Ne consegue un rallentato svuotamento dello stomaco e dell’intestino ed una incrementata incidenza della malattia diverticolare. Nello stesso tempo, il rallentato transito del cibo determina una eccessiva crescita di batteri intestinali (SIBO) che a loro volta amplificano i sintomi caratteristici. Tale fenomeno è, inoltre, causato anche dal concomitante deficit immunitario, tipico dei pazienti con malattia di Fabry, che li predispone anche ad acquisire le infezioni batteriche tra le quali quella da H. pylori.
Quali sono i sintomi gastrointestinali?
Tra i sintomi maggiormente rappresentati vi è la diarrea, spesso associata a dolori addominali di tipo crampiforme con elevata produzione di gas. Solitamente, le feci sono riferite molli o semisolide, prive di muco e di sangue. Inoltre, tali sintomi assumono spesso un andamento alterno confondendosi con quelli tipici della sindrome dell’intestino irritabile (IBS). L’abbondante quantità di gas intestinale è, inoltre, responsabile sia del gonfiore addominale che del dolore addominale. A livello gastrico, invece, uno dei sintomi maggiormente rappresentati è il dolore epigastrico e la nausea, frequentemente associati ai sintomi caratteristici del reflusso gastroesofageo. Spesso coesiste l’infezione da H. pylori che può essere causa di gastrite ed ulcera gastrica e duodenale. Il problema principale da affrontare è l’aspecificità, almeno iniziale, di questi sintomi che tendono a confondersi con quelli dell’IBS; ciò può portare al ritardo della diagnosi della malattia di Fabry anche per diversi anni.
A che età compaiono questi sintomi?
Caratteristicamente, i sintomi gastrointestinali compaiono maggiormente in età pediatrica, con una maggiore prevalenza del dolore addominale rispetto alla diarrea e con una maggiore occorrenza nel sesso femminile.
Quali possono essere le conseguenze?
Come già accennato precedentemente non si tratta di sintomi pericolosi per la vita ma si possono comunque avere delle conseguenze a lungo termine, Aldilà della possibilità di sviluppo dell’ulcera gastrica e duodenale, se vi è la concomitante presenza dell’infezione da H. pylori, vi può essere la possibilità di una riduzione dell’indice di massa corporea. Ciò può dipendere sia dalla molto precoce acquisizione dell’infezione da H. pylori che dalla concomitante presenza della SIBO. Si crea, pertanto, una vera e propria sindrome da malassorbimento che coinvolge vari micronutrienti, tra i quali ricordiamo il ferro, la vitamina B12, la C la E così come lo zinco.
Vi è anche un malassorbimento per gli zuccheri semplici, con particolare riguardo al lattosio. Il paziente tende, così, ad eliminare latte e latticini, riducendo fortemente l’apporto di calcio con conseguente aumentata incidenza di osteoporosi. Il tutto può, infine, ripercuotersi anche sul sistema ormonale che regola l’appetito e l’accrescimento, costituito dalla leptina e ghrelina, con tutte le conseguenze sopra riportate.
Che tipo di accertamenti fare?
Sicuramente occorrerà ricercare l’infezione da H. pylori tramite l’Urea-Breath-Test o test fecale. Per la diagnosi di SIBO, invece, sarà opportuno eseguire il Breath-Test al lattulosio e/o glucosio. Si consiglia, inoltre, l’esecuzione del test di permeabilità intestinale e l’esclusione di altre patologie gastrointestinali, quali ad esempio il morbo di Crohn, qualora concomiti un severo malassorbimento. In tal caso è utile eseguire una colonscopia totale con concomitante valutazione dell’ultima ansa ileale.
Quale terapia?
Il cardine è sicuramente rappresentato dalla terapia sostitutiva con ?-galattosidasi A, la quale determina sempre un marcato miglioramento dei sintomi gastrointestinali. Ovviamente, qualora si riscontri l’infezione da H. pylori, questa va opportunamente trattata così come la SIBO. Entrambe tali patologie, possono, infatti incrementare l’espressività dei sintomi gastrointestinali.
Bibliografia
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A cura del dott. Francesco Franceschi
Fig. 1 - Audiogramma tonale con valori medi di soglia per ciascuna frequenza nei due orecchi (Destra: Right; Sinistra: Left). I valori si riferiscono alla soglia per via aerea, da intendersi coincidenti con quelli per via ossea.Il coinvolgimento multi-sistemico della Malattia di Anderson - Fabry non risparmia i sistemi sensoriali uditivo e vestibolare. Poiché i sintomi del coinvolgimento dell’orecchio possono incidere anche significativamente sulla qualità della vita, senza tuttavia metterla a repentaglio, gli aspetti audiologici e vestibolari della malattia di Fabry sono stati valutati da un punto di vista scientifico solo marginalmente sino ad alcuni anni fa, come isolate segnalazioni o in studi limitati a piccole casistiche.
Con il passare degli anni e con una crescita dell’interesse e degli strumenti di conoscenza verso quest’affezione, ci si è resi conto che i pazienti affetti da malattia di Fabry lamentano frequentemente sintomi uditivi con ipoacusia, tipicamente ingravescente e acufeni. Anche i disturbi dell’equilibrio e del controllo posturale risultano frequenti. Accanto a vertigini franche (sensazione erronea di movimento di sé rispetto all’ambiente o soggettiva, o dell’ambiente rispetto a se stessi od oggettiva), sono comunemente presenti disturbi posturali aspecifici, meno correlabili con alterazioni labirintiche e spesso secondari a fenomeni di ipotensione ortostatica, erroneamente etichettati come vertigini.
Aspetti audiologici
La prevalenza dei disturbi uditivi nella malattia di Fabry viene soprattutto dall’analisi dei dati del FOS (Fabry Outcome Survey) che evidenzia la presenza di sintomi otologici in 316 soggetti su 566 pazienti esaminati (55,8%). Negli studi in cui è stata effettuata una valutazione audiometrica prima dell’inizio di eventuali trattamenti è stata evidenziata un’ipoacusia bilaterale neurosensoriale in pazienti di entrambi i sessi, con una maggiore prevalenza tra i maschi (tra il 50 e l’80% circa) rispetto alle femmine (attorno al 50%). Occasionale e senza significative differenze rispetto alla popolazione generale è il rilievo di un’ipoacusia trasmissiva o mista. L’entità dell’ipoacusia si è dimostrata, tuttavia, relativamente contenuta, risultando solo nel 12% di grado medio e solo nel 4% medio-grave/grave, quando riferita alla classificazione della World Health Organization.
I valori medi di soglia uditiva dei pazienti affetti da malattia di Fabry risultano peggiori rispetto a quelli della popolazione generale (ISO 7029) per corrispondenti fasce di età, anche nei pazienti in cui la soglia audiometrica si colloca entro i limiti della norma. In generale si può concludere che nei soggetti affetti da malattia di Fabry si osserva un deterioramento dell’udito, con un’ipoacusia bilaterale neurosensoriale “in discesa”, che progredisce con l’età (presbiacusia), anticipata e più accentuata rispetto alla popolazione generale e questo comportamento risulta più evidente e precoce nei maschi rispetto alle femmine.
Studi su gruppi più ristretti, ma relativamente ampi di pazienti e con accurate valutazioni audiologiche cliniche e strumentali hanno, tuttavia, evidenziato nella malattia di Fabry un interessamento dell’orecchio interno (la struttura che accoglie i recettori dell’udito e dell’equilibrio) caratterizzato da una progressione del danno attraverso episodi acuti, in alcuni casi subentranti, rilevati comunemente (fino all’85% dei casi), che danno luogo ad un’ipoacusia monolaterale o bilaterale asimmetrica. Queste manifestazioni di “ipoacusia improvvisa” neurosensoriale che hanno una prevalenza di circa 10 volte maggiore rispetto alla popolazione generale, rappresentano spesso un sintomo precoce, anche d’esordio, della malattia sistemica e possono condurre ad una condizione funzionale uditiva disabilitante.
Gli acufeni sono un altro sintomo uditivo di osservazione comune (40% dei casi) rispetto alla popolazione generale risultano associati nella maggioranza (75%) dei casi ad ipoacusia.
Aspetti vestibolari
Per quanto riguarda la funzione vestibolare, sono pochi gli studi sistematici. Nella nostra esperienza vertigini ed instabilità posturale sono sintomi piuttosto comuni osservati rispettivamente nel 20% e nel 15% dei pazienti. Nel 10% dei casi si sono osservate vertigini parossistiche posizionali da disfunzione otolitica. Gli esami strumentali hanno dimostrato alterazioni (iporeflettività bilaterale, prevalenza di lato) nel 15% dei casi. E’ difficile, tuttavia, riconoscere alle alterazioni vestibolari osservate nella malattia di Fabry caratteri di specificità e di differenziazione significativa rispetto alla popolazione generale. Per esse, come per gli aspetti audiologici, si può ammettere l’insorgenza di un deficit progressivo che, se bilaterale, non determina condizioni di scompenso vestibolare e, quindi, franche crisi di vertigine.
Basi del danno cocleo-vestibolare
L’interessamento dei sistemi uditivo e vestibolare e, in particolare, dell’orecchio interno nella malattia di Fabry dimostra una correlazione con la ridotta quota di attività enzimatica (livelli di Gb3 plasmatici ed urinari), indicando comuni basi patogenetiche tra le manifestazioni otologiche/oto-neurologiche e le altre manifestazioni cliniche della malattia. Tra queste una relazione significativa è stata segnalata in vari studi con gli indici, rispettivamente, di funzionalità renale, di neuropatia periferica e di cerebropatia vascolare.
Gli unici dati istopatologici descrittivi dell’interessamento morfologico dell’orecchio nella malattia di Fabry risalgono ad oltre 25 anni addietro, quando i meccanismi patogenetici di questa affezione erano molto poco determinati. Negli unici due pazienti considerati venivano riportati un versamento muco-purulento nell’orecchio medio, verosimilmente come reperto incidentale, oltre a più significative alterazione delle strutture neuro-sensoriali. Queste consistevano in una riduzione delle cellule neuronali del ganglio spirale e, a livello della coclea, un idrope a livello del giro apicale ed una riduzione delle cellule ciliate esterne a livello di tutti i giri cocleari.
Le più caratteristiche manifestazioni audiologiche cliniche e strumentali della malattia di Fabry, con episodi improvvisi d’ipoacusia, suggeriscono che il danno cocleare sia determinato da un deficit di perfusione ematica, sostenuto da stenosi dei piccoli vasi labirintici. Questa condizione sarebbe determinata dall’accumulo di metaboliti (glicosfingolipidi) a livello dei lisosomi dell’endotelio vascolare e nelle cellule muscolari lisce della parete vascolare.
Un ulteriore ruolo nel determinismo del danno cocleare potrebbe essere svolto da fenomeni di idrope endolinfatico.
Terapia sostitutiva
Anche riguardo agli effetti della terapia sostitutiva gli aspetti audiologici della malattia di Fabry sono stati meno indagati rispetto ad altri organi ed apparati. La nostra esperienza si è basata sul confronto tra gli esami audiometrici effettuati prima dell’inizio del trattamento con gli esami di controllo ogni sei mesi, con un follow up di durata superiore a due anni (media 51,5 mesi).
Solo un paziente ha lamentato un peggioramento soggettivo dell’udito. Considerando i valori medi della soglia audiometrica tonale si è osservato un lieve peggioramento per le frequenze medie e, al contrario, un lieve miglioramento per le frequenze acute, in entrambi i casi senza significatività statistica della differenza tra i valori di soglia iniziali e quelli alla conclusione dello studio. Analogamente non si sono osservate variazioni significative negli aspetti vestibolari, sia dal punto di vista sintomatologico che nei risultati delle valutazioni strumentali nei nostri dati mentre, più recentemente, la terapia sostitutiva si sarebbe dimostrata efficace nel determinare un miglioramento della riflettività labirintica vestibolare.
Considerando i risultati di diversi studi attuati, è in generale possibile concludere che riguardo agli aspetti otologici, audiologici e vestibolari, la terapia enzimatica sostitutiva sarebbe è in grado di stabilizzare la condizione clinica pre-esistente riguardo agli aspetti uditivi e di determinare un miglioramento della funzione vestibolare.
Conclusioni - Indicazioni cliniche
Il coinvolgimento uditivo e vestibolare è comune nei pazienti affetti da malattia di Fabry. Di maggiore rilevanza clinica e funzionale appaiono le manifestazioni uditive. Per questi motivi un controllo audiologico dovrebbe essere previsto tra le procedure diagnostiche di “follow up” nella malattia di Fabry, a partire dall’infanzia (età scolare), con una valutazione più tempestiva e completa nei casi di “ipoacusia improvvisa”.
Isolate osservazioni suggeriscono che le manifestazioni (fenotipo) audiologiche possano essere condizionate nella loro frequenza e gravità dal genotipo e che, quindi, in determinati ceppi familiari debba essere più attenta la sorveglianza audiologica.
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A cura del dott. Guido Conti
La malattia di Anderson-Fabry, più comunemente nota come malattia di Fabry, è una patologia congenita rara, ad interessamento multisistemico, caratterizzata da un'evoluzione progressiva che se non controllata dalla terapia, può ridurre significativamente la qualità e la durata della vita dei soggetti affetti.
La patologia fa parte del gruppo di malattie genetiche denominato “malattie da accumulo lisosomiale”, patologie causate da vari tipi di deficienze enzimatiche che comportano un accumulo di substrato all’interno dei lisosomi.
Oggigiorno si conoscono più di 40 tipi diversi di disturbi da accumulo; tra questi la malattia di Anderson Fabry (seconda per prevalenza dopo la malattia di Gaucher).
E’ causata dalla mutazione del gene α-galattosidasi A (GLA) situato sul cromosoma X. La segregazione familiare che ne consegue è pertanto decisamente caratteristica nell’ambito di questo tipo di disturbi congeniti.
Il difetto enzimatico lisosomiale caratteristico dalla malattia di Anderson Fabry rende difficoltoso o impossibile il catabolismo del Globotriaosilceramide (Gb3) determinandone cosi l’accumulo a livello intracellulare nell’ambito di numerosi organi e tessuti del corpo umano.
Le sedi maggiormente interessate risultano essere: parete dei vasi, miocardio, reni, sistema nervoso periferico, sistema nervoso centrale, cute, sistema gastroenterico, organo della vista ed organo dell’udito.
La conseguenza di tale accumulo è un progressivo danno funzionale e strutturale fino alla vera e propria insufficienza d’organo.
Manifestazioni oftalmologiche
Nell’ambito delle numerose manifestazioni cliniche possibili della malattia, quelle riguardanti l’occhio hanno un’importanza particolare in quanto i segni e i sintomi osservabili sono spesso precoci e patognomonici.
Le difficoltà di diagnosi incontrate nelle fasi più precoci di malattia, dovute alla aspecificità dei sintomi e alla varietà di presentazione di questi, spesso comportano un importante ritardo diagnostico; questo, a sua volta, determina un ritardo nell’intervento terapeutico al quale consegue una progressione della malattia verso condizioni tali da mettere in pericolo la qualità e la speranza di vita degli individui affetti.
L’accumulo intracellulare di Globotriaosilceramide, conseguente al deficit enzimatico di alpha galattosidasi, coinvolge quasi tutte le strutture dell’occhio; quelle maggiormente interessate sono:
- Cornea
- Vasi della congiuntiva e della retina
- Cristallino
Sebbene tali strutture siano di importanza fondamentale al fine di assicurare una visione ottimale, fortunatamente, la malattia di Fabry, nella maggior parte dei casi, non è solita dare un coinvolgimento tale da determinare importanti alterazioni della visione (Sodi A et al. 2007).
Il ruolo dell’oftalmologo, a causa della precocità e della specificità dei segni osservabili, può risultare pertanto fondamentale nella diagnosi precoce e quindi nel rendere possibile un inizio tempestivo del trattamento terapeutico allo scopo di permettere il controllo della progressione della malattia.
Altro ambito in cui l’oculista, sebbene meno prepotentemente, entra in gioco è quello del follow up. Tramite visite oftalmologiche periodiche infatti risulta possibile il monitoraggio della progressione di malattia, la messa in evidenza di una risposta dell’ organismo alla terapia e la valutazione, nel tempo, degli effetti di questa sulle caratteristiche di alcune delle sedi del deposito di Gb3. Ciò risulta possibile a causa delle particolari caratteristiche anatomiche dell’occhio le quali permettono, come per altre patologie multisistemiche quali diabete, ipertensione, etc, la valutazione diretta del sistema vascolare con le caratteristiche che ne conseguono.
Manifestazioni a livello della cornea
La manifestazione clinica di malattia di Fabry evidenziabile a livello corneale è un tipo specifico di cheratopatia detta “cornea verticillata”, altrimenti nota come “cheratopatia a vortice”. Si tratta di un’insieme di opacità lineari di colore variabile, solitamente biancastro, giallastro o marroncino chiaro, aventi una disposizione spiraliforme, prendenti origine da un unico punto ed emanantesi radialmente a partire da esso (Fig. 1).

Fig. 1 - Esempi di visualizzazione al biomicroscopio dei verticilli corneali
Tele segno clinico è facilmente indagabile tramite una comune lampada a fessura, in maniera semplice, rapida e non invasiva (Fig. 2)

Fig. 2 - Valutazione del paziente alla lampada a fessura
La qualità, la quantità e la sede di tali opacità sono variabili anche se, solitamente, si tratta di opacità lineari lievi, presenti in numero ridotto e situate a livello della parte inferiore della cornea (Fig. 3).

Fig. 3 - Evidenza alla lampada a fessura di cornea verticillata
È importante sottolineare che, poiché la cornea nell’individuo sano è completamente trasparente, nel caso in cui si dovesse osservare un qualsiasi tipo di opacità a livello corneale, risulta fondamentale valutare a fondo le caratteristiche di questa, al fine di capire quale ne sia la causa.
È insolito, sebbene possibile, che la condizione comporti una riduzione della acuità visiva; più comunemente si tratta di una condizione asintomatica.
Alterazioni vascolari
I vasi a livello dei quali è possibile osservare manifestazioni cliniche, dovute all’accumulo di Gb3 all’interno delle cellule costituenti la parete vasale, sono principalmente:
- Vasi della congiuntiva
- Vasi retinici
Si tratta di vasi di dimensioni molto ridotte situati in sedi dell’organismo particolarmente accessibili all’osservazione clinica. Le alterazioni strutturali osservabili, pur non essendo certamente specifiche, sono di grande importanza in quanto costituiscono un’ importante spia dell’interessamento vascolare sistemico nell’individuo affetto da malattia di Fabry.

Fig. 4 - Telangiectasie congiuntivali
Fig. 5 - Tortuosità dei vasi congiuntivali

Fig. 6 - Evidenza di microaneurisma retinico isolato all’esame del fondo dell’occhio
Fig. 7 - Aumentata tortuosità vasale evidente all’esame del fondo dell’occhio
Manifestazioni a livello del cristallino
Esistono due tipi di opacizzazione del cristallino associati alla malattia:
- Cataratta sottocapsulare anteriore
- Cataratta sottocapsulare posteriore
Entrambe tali tipologie sono dovute al deposito di Gb3 all’interno delle cellule epiteliali del cristallino e vengono osservate nel corso della valutazione alla lampada a fessura (preferibilmente con il paziente in midriasi).

Fig. 8 (alto) - Cataratta sottocapsulare anteriore in occhio destro e sinistro dello stesso paziente
Fig. 10 (basso) - Due esempi di “Cataratta di Fabry”
Altri Segni Oftalmologici meno frequenti
- Edema palpebrale e tortuosità vasale delle palpebre superiori (Fig. 11)
- Chemosi congiuntivale
- Uveite cronica

Fig. 11 - Tortuosità vasale delle palpebre superiori
A cura della Dr. Elena Rosa Antoniazzi
IRCCS Fondazione Policlinico San Matteo – Pavia
Il ruolo di Lyso-Gb3 nei pazienti affetti da Malattia di Fabry
La malattia di Fabry è una malattia lisosomiale multisistemica legata al cromosoma X e causata da mutazioni nel gene GLA, che determinano la carenza dell’enzima alfa-galattosidasi con conseguente accumulo di glicosfingolipidi in vari tessuti e fluidi biologici. Il sospetto di malattia di Fabry viene avanzato in base ai dati clinici, anamnestico-familiari ed infine confermato attraverso analisi genetiche e biochimiche. In particolare, la determinazione dei substrati dell’enzima (Gb3 e Lyso-Gb3), accumulati nei lisosomi delle cellule di diversi organi e tessuti, si è rivelata essere un fondamentale supporto diagnostico. Questi substrati, si trovano ad essere in aumento anomalo nelle urine e nel plasma dei pazienti Fabry e hanno il potenziale per essere utilizzati come biomarkers specifici della malattia, in quanto utili per lo screening, la diagnosi e il monitoraggio a lungo termine dei pazienti con malattia di Fabry. Una diagnosi precisa e tempestiva è essenziale per avviare precocemente i pazienti alla terapia enzimatica sostitutiva, che è in grado di rallentare o arrestare la progressione della malattia, migliorandone così la qualità della vita.
Anche se l'accumulo di Gb3 è chiaramente un prerequisito per la manifestazione della malattia di Fabry, diversi studi indicano l'esistenza di un altro fattore oltre a Gb3 che è coinvolto nella patogenesi della malattia. Si è dimostrato infatti che il plasma di pazienti con malattia di Fabry contiene un marcato aumento delle concentrazioni di deacetilato di Gb3 (Lyso-Gb3). Il relativo aumento delle concentrazioni plasmatiche di questo glicolipide cationico supera, in vitro, quella di Gb3 di più di un ordine di grandezza e alle concentrazioni che si riscontrano nel plasma dei pazienti sintomatici Fabry, Lyso-Gb3 promuove l’accumulo di Gb3 e induce la proliferazione di cellule muscolari lisce, ciò risulta suggestivo di un ruolo causale di Lyso-Gb3 nella patogenesi della malattia. L'incremento evidente di Lyso-Gb3 nel plasma di pazienti Fabry è stato trascurato in passato, probabilmente perché il composto è molto solubile in acqua e non semplice da quantificare. Oggi Il dosaggio di Lyso-Gb3 può essere effettuato in maniera semplice anche con utilizzo di DBS.
Le elevate concentrazioni plasmatiche di Lyso-Gb3 potrebbero fornire spiegazioni plausibili per altri fenomeni poco conosciuti nella malattia di Fabry. I livelli plasmatici di Lyso-Gb3 si sono dimostrati essere correlati infatti con la presenza di lesioni nella sostanza bianca nei maschi, con l’ipertrofia ventricolare sinistra nelle donne e con altri marcatori di danno renale. Pertanto la concentrazione di Lyso-Gb3 si può ben correlare con la gravità della malattia. Inoltre è noto che spesso le donne eterozigoti presentano una ridotta gravità della malattia, possono essere asintomatiche o avere la classica presentazione clinica. Pertanto la scoperta di tali correlazioni suggerisce che i valori di Lyso-Gb3 nel plasma possono identificare in maniera precoce le donne che hanno il rischio di sviluppare cardiomiopatia ipertrofica, alterazioni renali o cerebrali nonostante siano del tutto asintomatiche.
E’ fondamentale sottolineare il ruolo di Lyso-Gb3 nell'insorgenza di vari segni clinici della malattia di Fabry e la misura della sua concentrazione può diventare una guida preziosa per la gestione clinica. Il suo monitoraggio plasmatico potrebbe assistere il clinico nel processo decisionale su quando iniziare l'intervento terapeutico, sui i risultati del regime di trattamento nei singoli pazienti e se si sta ottenendo una correzione ottimale.
E’ stato indicato che la terapia enzimatica sostitutiva con alfa-galattosidasi ricombinante (ERT) può ridurre, ma non facilmente normalizzare i livelli nel plasma di Lyso-Gb3 già durante i primi 12 mesi e queste riduzioni sono influenzate dalla dose e dalla presenza di anticorpi anti Algasidasi. Tuttavia, è rassicurante che i livelli di Lyso-Gb3 nei pazienti Fabry siano in parte sensibili alla ERT. Oltre alle terapie enzimatiche esistenti, nuove prospettive terapeutiche si rivolgono specificamente alla prevenzione della formazione di Lyso-Gb3 e promuovere la sua rimozione sarà di interesse per il futuro.
Concludendo il marcato aumento delle concentrazioni di Lyso-Gb3 costituisce un segno distintivo della malattia di Fabry e il ruolo potenziale di questo metabolita nelle manifestazioni della malattia merita ulteriori indagini. Pertanto il suo dosaggio potrebbe rappresentare uno strumento di fondamentale importanza per la gestione del paziente e per la valutazione dei risultati terapeutici raggiunti.
Anticorpi contro alfa a beta Algasidasi
Il trattamento dei pazienti con malattia di Fabry, al di là della terapia sintomatica o palliativa, mirante a preservare la funzione degli organi o a ridurre i sintomi, si concentra principalmente sulla sostituzione dell'enzima mancante o carente (alfa-galattosidasi A).
I principali effetti collaterali della terapia sono rappresentati dalle reazioni acute durante l’infusione ma solo in meno del 15% dei pazienti, il farmaco è stato associato a effetti infusionali acuti, insorti durante o entro 1 ora dal trattamento e dovuti alla comparsa di anticorpi IgG diretti contro l’enzima, in grado di attivare il complemento.
I sintomi più comuni sono brividi e rossore al viso, ma nella maggior parte dei casi, si tratta di reazioni di facile gestione, con effetti lievi e transitori che possono non richiedere un trattamento medico o l'interruzione dell'infusione. Nei casi di reazioni più gravi e persistenti, l'infusione può essere temporaneamente interrotta (5-10 minuti) fino a quando i sintomi regrediscono, e quindi riavviata. La premedicazione, generalmente con paracetamolo, antistaminici e/o corticosteroidi orali dati 12-24 ore prima dell'infusione, ha impedito successive reazioni nei pazienti nei quali è stato richiesto un trattamento sintomatico. In caso di gravi reazioni allergiche o di tipo anafilattico, l'interruzione immediata della infusione deve essere considerato e deve osservare gli attuali standard medici per il trattamento di emergenza.
E’ stata documentata la cross–reattività delle Immunoglobuline G con Agalsidasi alfa e beta, ma nessuna di tali reazioni è stata registrata per gli anticorpi IgE. L’interruzione della terapia o una complessa procedura di desensibilizzazione sono state necessarie in pochissimi pazienti in cui sono comparsi anche anticorpi IgE, causa di gravi reazioni anafilattiche. Risulta fondamentale pertanto analizzare gli anticorpi anti IgE contro entrambi gli enzimi, quando i pazienti presentano gravi eventi avversi correlati all'infusione.
Un recente studio, condotto con metodica immunocromografica per la rapida rilevazione di anticorpi nel siero di pazienti Fabry, che avevano ricevuto terapia di sostituzione enzimatica, con Agalsidasi alfa e/o agalsidasi beta, è stata effettuata mediante questo metodo di dosaggio, ha chiaramente dimostrato che i pazienti mostravano lo stesso livello di anticorpi contro entrambi agalsidasi alfa e agalsidasi beta, indipendentemente dalla specie di ricombinante α-galattosidasi usato per la terapia enzimatica sostitutiva.
Numerosi studi hanno riportato che la terapia sostitutiva, agisce direttamente sulla riduzione dei livelli plasmatici di Lyso-Gb3 che si accumula nei vari organi già dopo pochi mesi di terapia, mentre la riduzione di Lyso-Gb3 nelle urine è meno prominente.
Tuttavia, è recentemente emersa l’evidenza di un’inibizione endogena siero-mediata di agalsidasi alfa nei pazienti in terapia sostitutiva, come è stato già riportato per altre malattie da accumulo lisosomiale.
Per comprendere le conseguenze cliniche di questa inibizione, sono state valutate le alterazioni della funzionalità renale e cardiaca, e la sintomatologia propria della malattia. E’ stato dimostrato che l'inibizione non dipendeva dal composto inizialmente utilizzato (agalsidasi alfa o beta) e i pazienti in cui si verificava un inibizione avevano un peggiore punteggio di gravità di malattia con una maggiore massa ventricolare sinistra e una funzionalità renale sostanzialmente inferiore rispetto a coloro i quali non mostravano inibizione enzimatica. Inoltre, presentavano una sintomatologia tipica particolarmente evidente con la diarrea, stanchezza e dolore neuropatico.
Pertanto, i pazienti in terapia sostitutiva con scarso risultato clinico dovrebbero essere attentamente valutati per ricercare l’eventuale presenza anticorpi in grado di determinare l’inibizione di Agalsidasi.
Studi futuri saranno pertanto necessari per determinare se i pazienti potrebbero avere un beneficio dalla riduzione acuta degli anticorpi anti-Agalsidasi o se risulterà necessaria una terapia di modulazione a lungo termine del sistema immunitario per sopprimere l’inibizione di agalsidasi ed inoltre per trovare un meccanismo che possa minimizzare la formazione di anticorpi inibitori.
Dott. Federico Pieruzzi