La X-inattivazione nelle femmine con malattia di Fabry
Come noto, la malattia di Fabry è dovuta alla ridotta sintesi dell’enzima a-galattosidasi A conseguente ad una mutazione del cromosoma X e per tale motivo si manifesta soprattutto nel maschio emozigote. Nella femmina eterozigote invece, che eredita dai genitori un cromosoma X alterato e uno sano, la malattia si manifesta in modo molto variabile spaziando dalla completa assenza di sintomi sino ad un quadro clinico sovrapponibile per severità a quello del maschio. La stessa variabilità riguarda l’enzima a-Galattosidasi A che può risultare del tutto assente o ridotto sino a valori del tutto normali come nel soggetto sano. Poiché non è stata mai riscontrata una correlazione tra il quadro clinico e l’attività enzimatica presente nel sangue, nelle femmine la diagnosi può essere effettuata solo con il riscontro della mutazione all’analisi molecolare del gene nel cromosoma X , al contrario del maschio dove per la diagnosi è sufficiente il dosaggio enzimatico, ridotto rispetto alla normalità.
Alla base della variabilità clinica nelle femmine uno dei fattori più frequentemente chiamati in causa sarebbe il fenomeno della Lyonizzazione che consiste nell'inattivazione casuale di uno dei due cromosomi X in cellule diverse per cui accanto a cellule con cromosoma X inattivato o spento si troverebbero altre cellule con cromosoma X attivo in grado di trascrivere per l’enzima , creandosi cosi una condizione di mosaicismo di aree in parte produttive e in parte non produttive. In pratica si potrebbero verificare 3 situazioni diverse: 1) l’inattivazione del cromosoma X funzionante nella maggior parte delle cellule, 2) l’inattivazione del cromosoma X mutato nella maggior parte delle cellule. 3) l’inattivazione del cromosoma X funzionante e di quello mutato in un numero all’incirca uguale di cellule. Maggiore è l’espressione di cellule con cromosoma X inattivo, maggiore sarà l’espressione clinica e la probabilità di manifestare una malattia conclamata. Una volta che una cellula somatica ha inattivato un cromosoma X, quello stesso rimane inattivo nelle sue discendenti.
Quindi nella femmina il fenomeno della X-inattivazione assume una notevole importanza, non solo sotto l’aspetto diagnostico (poichè potrebbe chiarire diversi quesiti riguardanti la storia naturale come la variabilità fenotipica, l’esordio precoce in alcune o tardivo nella maggior parte, la severità in alcune o la asintomaticità in altre) ma anche dal punto di vista prognostico poiché potrebbe anticipare il danno d’organo che la femmina potrà sviluppare in futuro. In pratica quindi lo studio della X-inattivazione del cromosoma X potrebbe essere predittivo della prognosi che la malattia avrà nelle femmine eterozigoti nelle decadi successive alla diagnosi.
Tuttavia, lo studio della X-inattivazione non sempre ha portato a risultati promettenti. Esistono infatti anche esperienze negative in cui non è stata riscontrata alcuna correlazione tra l’estensione della X-inattivazione e la severità della malattia.
Lo studio della X-inattivazione consiste nella deacetilazione e successiva metilazione del DNA del cromosoma X che consentirebbe di verificare se quel cromosoma è attivo o funzionante oppure no. Lo studio della X-inattivazione viene eseguito al momento solo in pochi laboratori e con finalità di studio e di ricerca. Al momento, non sono stati pubblicati studi sulla X-inattivazione nelle femmine affette da malattia di Fabry effettuati presso laboratori italiani pur essendo la tecnica della metilazione ampiamente in uso per altre patologie X-linked.
L’interesse che tale aspetto della malattia ha suscitato non solo presso la comunità scientifica ma anche tra i pazienti e le associazioni potrebbe concretizzarsi con lo sviluppo e la promozione di studi di ricerca presso laboratori e centri di ricerca del nostro paese con l’intento di esplorare maggiormente tale aspetto in grado di rispondere ai molti quesiti tuttora esistenti sulla storia naturale della malattia nelle femmine.